A Sylvester Stallone il Filmaker award per aver lasciato un segno nel cinema contemporaneo grazie alla sua attività di sceneggiatore, regista e produttore, e a Tinto Brass una retrospettiva e la proiezione del suo ultimo film, «Hotel Courbet». La Mostra di Venezia 2009 è naturalmente molto altro, ma queste due scelte del direttore Marco Müller saltano all'occhio: Stallone non è mai stato amato dai festival e dalla critica e Brass manca da Venezia dal 1967.
Direttore, Stallone e Brass costituiscono una provocazione oppure una chiave di lettura di questa Mostra?
Non ho mai amato erigere steccati fra il cinema cosiddetto alto e quello basso. Ecco il perché di questa mia scelta. Il cinema infatti, e oggi più che mai, è tante cose insieme: arte, industria, politica, multiculturalità. Insomma, una specie di calamita in grado di attirare su di sé tutte le complessità del reale. Per questo nell'edizione 2009 mi sono divertito a usare pedali diversi, Stallone e Brass compresi: il primo perché rivendica la sua autonomia dalla macchina hollywoodiana, il secondo perché è un intellettuale che sperimenta in maniera altrettanto autonoma, usando l'erotismo simbolicamente, al di là di filoni e cliché.
Un'altra cosa che emerge nitida da questa Mostra è che sono iniziati i lavori per il nuovo Palazzo del Cinema.
Sì, ma durante il festival il cantiere sarà coperto dalla nuova sala Perla 2 e nessuno lo noterà. Nel 2011 la Mostra completerà la sua opera di internazionalizzazione, accogliendo al meglio le esigenze di chi il cinema lo fa: non solo in quanto consentirà di programmare delle attività lungo il corso di tutto l'anno, ma anche perché si potrà rendere la mostra una struttura più ampia, ad esempio restaurando certo cinema sommerso, soprattutto italiano.
Intanto con la sezione «Controcampo italiano» le produzioni di casa nostra, quest'anno, hanno acquistato più spazio.
Certo, il reinserimento dello spazio creato da Lizzani nel 1980 è stato un modo per evitare che molte opere "fuori norma" non trovassero alcuna collocazione all'interno del cartellone.
Ma il cinema italiano non era in difficoltà? Non è che la crisi economica lo sta stimolando a fare meglio e di più?
La crisi fa male sempre, soprattutto quando induce i produttori a realizzare dei film simili ad altri andati bene, nell'illusione di minimizzarne il rischio economico. Così il cinema rischia di appiattirsi, anche se non è il caso di quest'anno: delle 16 opere prime che ho messo nel cartellone principale, quelle cioè che per definizione esprimono il "nuovo" che avanza, ben sette sono italiane.
Alla luce della selezione effettuata, secondo lei qual è la nazione attualmente più forte dal punto di vista industriale?
Alla fin fine sempre gli Stati Uniti, nonostante il cinema asiatico, compreso quello dei paesi emergenti, sia in forte sviluppo. Gli Usa, infatti, continuano a essere un coacervo di esperienze artistiche e imprenditoriali così vario da non avere eguali in altri contesti produttivi. È questo uno dei motivi per cui nel programma di quest'anno, Italia a parte, sono gli Stati Uniti la nazione che presenta più pellicole, battendo da sola l'intero continente asiatico.
